Fiscalita’ e crisi dell’Euro: cause e prospettive di sviluppo

Fiscalita’ e crisi dell’Euro: cause e prospettive di sviluppo

 
 
 

Fabrizio Zampieri, analista economico e finanziario indipendenteVedendo come stanno andando le cose, quella luce che vedevamo in fondo al tunnel erano davvero i fari del treno, non l’uscita. I media hanno provato in tutti i modi a raccontarci che ormai il fondo era stato toccato e sarebbe iniziata la risalita, ma non era affatto così. Le crepe del sistema-Euro e, più in generale, delle architetture finanziarie di tipo anglosassone erano evidenti anche a un osservatore mediamente istruito e senza particolare malizia. Eppure, nonostante i nuovi organismi sovranazionali costituiti ad hoc, nessuno si è peritato di prendere qualsivoglia provvedimento idoneo a invertire la rotta. Oggi assistiamo a crolli borsistici e crisi valutarie su vasta scala: sono a immediato rischio almeno Grecia, Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda, Belgio e Cipro.

Sulle cause della presente crisi, abbiamo intervistato Fabrizio Zampieri, economista e analista finanziario indipendente (fabrifinanz@hotmail.com).

A cura di Alberto Leoncini

In base a quali meccanismi il declassamento del debito pubblico delle agenzie di rating si riflette anche sulle banche?. Quali meccanismi provocano automaticamente una ondata di vendite? Come avvengono realmente i meccanismi speculativi (vedi ad esempio il mercato dei CDS)? Questa fuga verso l’oro? Quale il suo senso e le sue ripercussioni?

Generalmente quando un’agenzia di rating declassa uno Stato chi ne risente maggiormente sono le Banche poiché gli Istituti Bancari sono quei soggetti che detengono nei loro portafogli e bilanci le maggiori quote di titoli di Stato dei Paesi declassati. Naturalmente un declassamento equivale ad una perdita di valore delle obbligazioni statali e rappresenta una perdita di capitale per il soggetto che le detiene.

Le ondate di vendita di massa avvengono oramai poiché gli ordini di acquisto/vendita da parte di grandi Banche, fondi, broker, ecc… vengono innescati automaticamente da programmi di gestione finanziaria organizzati su determinati algoritmi che quindi attivano acquisti e vendite al raggiungimento di determinati livelli di prezzo delle quotazioni di determinate azioni, obbligazioni, valute, ecc… In questo modo, la speculazione finanziaria è sempre più guidata dalle “macchine” seppure impostate dall’uomo.

I CDS ovvero “Credit Default Swap” erano nati come degli strumenti assicurativi, ovvero si acquistavano per proteggersi dal rischio di default (fallimento) di società e Stati; ora invece vengono in ottica speculativa, ovvero la speculazione si concentra per esempio su uno Stato ed inizia ad acquistare CDS in massa; l’effetto primario è quello dell’innalzamento del prezzo del CDS e tutti gli operatori finanziari sanno che un prezzo alto corrisponde ad un alto rischio di default di quello Stato; le conseguenze sono perciò l’ampliamento degli spread delle obbligazioni statali rispetto a quelle degli altri Stati, la diminuzione del prezzo delle obbligazioni e l’aumento dei rendimenti, un po’ come è successo alla Grecia; l’affondamento dello Stato ellenico è stato determinato in gran parte dalla speculazione finanziaria. Sembra paradossale ma la situazione di bilancio della Grecia è assai meno negativa di quella degli Stati Uniti però questi continunano a godere della tripla A (massimo voto) sulle proprie obbligazioni statali mentre quelle del Paese mediterraneo sono considerate oramai “spazzatura”.

Quando sono presenti delle crisi economiche e finanziarie mondiali i grandi investitori tendono a spostare i propri investimenti verso asset considerati “più sicuri” ed i beni rifugio per natura sono rappresentati dall’oro e dal franco svizzero. Non a caso abbiamo assistito in questi ultimi mesi ad un rafforzamento delle quotazioni di queste due grandezze; relativamente al franco svizzero, la Banca Centrale elvetica è stata costretta ad intervenire più volte nel mercato delle valute per far sì che la propria valuta non si rafforzasse oltre misura; sappiamo tutti che una valuta troppo forte penalizza pesantemente le esportazioni del proprio Paese producendo nel medio periodo cali di vendite, minore produttività e crisi economiche.

Cosa sono CDO e CDS, e chi controlla il mercato di questi ultimi, e le agenzie di rating?

Tecnicamente il Credit Default Swap (CDS) è un particolare strumento finanziario che ha la funzione di trasferire l’esposizione creditizia di prodotti a reddito fisso tra le parti. È il derivato creditizio più usato. È un accordo tra un acquirente ed un venditore per mezzo del quale il compratore paga un premio periodico a fronte di un pagamento da parte del venditore in occasione di un evento relativo ad un credito (come ad esempio il fallimento del debitore) cui il contratto è riferito. Il CDS viene spesso utilizzato con la funzione di polizzaassicurativa o copertura per il sottoscrittore di un’obbligazione. Tipicamente la durata di un CDS è di cinque anni e sebbene sia un derivato scambiato sul mercato over-the-counter (non regolamentato) è possibile stabilire qualsiasi durata.

I CDS, al pari dell’investimento in opzioni su azioni, possono essere usati come strumenti speculativi, dando la possibilità di realizzare un grosso profitto da variazioni nel merito di credito di una società.

Ad esempio, se una società che ha emesso obbligazioni per il valore di un milione di dollari si trova in difficoltà finanziarie, il possessore delle obbligazioni, temendo di perdere il capitale investito può decidere di cederle per -supponiamo- 800.000 dollari. Se l’azienda paga il debito, lo speculatore guadagna 100.000 dollari.

Chi emette un CDS potrebbe ricevere, ad esempio, 200.000 dollari sotto forma di premio senza avere investito alcunché.

Inoltre si possono negoziare CDS già conclusi. Al pari delle obbligazioni, il costo di acquisto di questo strumento finanziario varia in conseguenza delle variazioni nella qualità di credito della società percepite dagli operatori e dagli investitori. La differenza è che tali variazioni di prezzo sono molto amplificate rispetto a quelle delle obbligazioni. Per questo motivo sono possibili profitti (ma anche perdite) molto superiori dell’investimenti in obbligazioni .

 

CDO (Collateralized Debt Obligation) invece non sono altro che obbligazioni strutturate.

In parole più chiare, sono dei pacchetti con un’obbligazione emessa dalla banca contenente all’interno diversi debiti; il fine è quello di cercare  investitori per coprirli.
Il problema è che all’interno del pacchetto si possono trovare qualsiasi tipo di debito, anche i famigerati subprime, ovvero quei strumenti che hanno dato inizio alla grande crisi del 2007-2009.

Accade spesso che una banca che è alla ricerca di finanziamenti “facili” emette questi Cdo a fronte di una promessa di ripaga mento del debito comprensivo di interessi.
Bisogna però fare molta attenzione a questi strumenti poiché, in caso di mancato rimborso, la banca ci rimetterà i soldi investiti nel mutuato e i soldi da restituire all’investitore.

Il risultato è assai negativo in termini finanziari poiché s’innesca una vera e propria reazione a catena: una svalutazione (perdita di valore) di questi titoli e conseguentemente anche del portafoglio delle banche, creando ulteriori problemi agli istituti di credito all’interno dei loro bilanci e alla loro credibilità sui mercati.

 

Le Agenzie di Rating sono società private che, in base a studi e ricerche economiche-finanziarie, forniscono giudizi su titoli, obbligazioni, Società e Stati mediante un voto “rating”. Semplificando, tali giudizi fanno riferimento all’affidabilità degli investimenti: un rating basso corrisponde a un rischio più alto e viceversa. Esistono diverse agenzie di rating e la gran parte di queste si occupano di declassare o promuovere i titoli delle società quotate in borsa. In particolare sono tre le agenzie di rating più grosse e influenti e i loro nomi ci sono familiari: Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings. Insieme, vengono definite le Tre Grandi, le Big Three.

Le agenzie di rating sono tra gli attori più influenti dell’economia mondiale. Basti ricordare i recenti annunci di Standard & Poor’s e Moody’s relativamente alla possibilità di considerare al pari di una bancarotta un’eventuale ristrutturazione del debito greco. Inoltre la decisione di Moody’s di declassare il debito del Portogallo attribuendogli il giudizio più basso, quello comunemente definito “spazzatura”, ha avvicinato un prossimo secondo piano di salvataggio. Di recente sia Standard & Poor’s che Moody’s hanno minacciato di tagliare il rating dei titoli di Stato italiani, provocando gli effetti negativi di Borsa e dei mercati ai quali abbiamo assistito tutti.

Il fatto curioso è che questi Enti, così potenti e così forti da poter influenzare con i loro giudizi i mercati e le vicende economiche di una Società e/o addirittura di uno Stato non sono altro che Società private (Società per Azioni).

 

E’ esemplare il caso di Moody’s, che ha una struttura societaria piuttosto complessa. La maggioranza del capitale è in mano a pochi grandi azionisti, tutti noti gestori di fondi di investimento: i primi quattro azionisti controllano il 49% delle azioni. Il primo socio è la finanziaria Berkshire Hathaway (19,1%), presieduta dal finanziere Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del pianeta secondo Forbes. Seguono società di investimenti come Capital Research Global Investors (10,30%), Capital World Investors (10,03%) e Fidelity Management & Research (9,61%).

Ognuno di questi azionisti controlla asset in ogni settore dell’industria e della finanza, compresi titoli di Stato di Paesi stranieri, per centinaia di miliardi di dollari. A sua volta Moody’s è una società quotata nella Borsa americana, e quindi soggetta alle fluttuazioni provocate dai suoi stessi giudizi: per esempio, nel 2009 ha avuto un fatturato di 1,8 miliardi di dollari con utili pre-tasse di 687 milioni.

 

Standard & Poor’s, invece, fa parte del gruppo McGraw-Hill Companies, una public company quotata al Nyse attiva nell’editoria e nei servizi finanziari, che edita tra l’altro il settimanale Business Week. L’azionariato di McGraw-Hill è molto simile a quello di Moody’s, anche se con un grado inferiore di concentrazione proprietaria: al primo posto c’è Capital World Investors (presente anche in Moody’s) con il 7,69%, quindi T. Rowe Price Associates (6,67%), BlackRock Global Investors (4,39%) e un altro investitore presente in Moody’s, ovvero Fidelity Management & Research (3,86%). Nel 2009 i Credit Market Services di S&P hanno fatturato 1,74 miliardi di dollari, contribuendo in maniera sostanziale al fatturato del gruppo McGraw-Hill, pari a 5,95 miliardi di dollari (con utili di 1,17 miliardi).

 

Diversa la situazione di Fitch, la terza agenzia a livello mondiale con circa il 16 % del mercato (laddove S&P e Moody’s ne hanno circa il 40 per cento a testa). Fitch – il cui giudizio spesso e’ ‘arbitro’ nel caso di visioni contrastanti fra le altre due grandi agenzie – è controllata al 60% da una holding, la Fimalac, acronimo di Financie’re Marc de Lacharrie’re, posseduta al 65,75% da una persona fisica, Marc Euge’ne Charles Ladreit de Lacharrie’re, detto MLL. Finanziere, al tredicesimo posto fra gli uomini piu’ ricchi di Francia con un patrimonio stimato in 1,1 miliardi di dollari, MLL è un ex banchiere, nato nel 1940 a Nizza, che nel 1991 crea la sua holding, la Fimalac, attraverso la quale acquisisce partecipazioni in molte società: tra le altre Credit Lyonnais, France Telecom, Air France, Renault, Canal Plus. Ha poi disinvestito per dedicarsi interamente ai servizi finanziari, tramite Fitch. Il restante 40% di Fitch è nelle mani del gruppo Hearst. Fitch Ratings nel 2009 ha avuto un fatturato di 683 milioni di euro. Nel primo trimestre del 2010 il fatturato è passato a 115 milioni (+8% sullo stesso periodo del 2009).

 

Purtroppo queste Società, così ascoltate e seguite dai principali operatori finanziari, molto spesso hanno preso della grandi “cantonate” nelle loro previsioni ed analisi, infatti Adusbef, l’Associazione dei Consumatori, ha effettuato un monitoraggio su oltre 1.000 “Report” (consigli per gli acquisti o per le vendite su titoli e/o azioni) emessi a pagamento dalle maggiori agenzie di rating, constatando che tali rapporti sono risultati non veritieri nel 91% dei casi. Quindi, quando queste agenzie hanno diffuso i loro “solenni” giudizi, tramite i loro Reports su società quotate, Stati, sistemi economici, ecc.., 9 volte su 10 si sono rilevati delle vere e proprie bufale, naturalmente anche a danno dei cittadini e di tutti coloro che hanno investito i loro risparmi in azioni che le agenzie reputavano assai positive, mentre nella realtà si sono rivelate azioni di società prossime al fallimento.

Gli esempi più lampanti passati e recenti sono quelli del 2001 per il crack della statunitense Enron, oppure nel 2003 per il crack Parmalat in cui non furono onorati i pagamenti delle obbligazioni i quali, invece, godevano di un rating pubblico stabile (BBB-) emesso da Standard & Poor’s, fino alla recente crisi finanziaria esplosa con i mutui sub-prime, considerati come degli strumenti finanziari poco rischiosi dalle agenzie di rating fino a pochi mesi prima dello scoppio, e per non parlare ancora del caso Lehman Brothers, dove le obbligazioni della banca d’affari godevano di un rating tripla A (quasi il massimo) fino a qualche giorno prima del crack.

Le società di rating inoltre, secondo il mio punto di vista, agiscono in pieno conflitto di interessi poiché, in primo luogo, sono remunerate dai committenti e non dagli investitori, in aggiunta le “tre sorelle” detengono partecipazioni dirette all’interno delle più grandi multinazionali internazionali e delle più grandi banche d’affari, coinvolte in speculazioni finanziarie, principalmente responsabili delle bolle speculative e dell’attuale crisi economica globale.

 

È vera la vulgata secondo cui il nostro sistema bancario è “robusto” ed “immune” da speculazioni subprime e dintorni?

Non credo proprio il nostro sistema bancario sia così robusto ed immune ad eventuali successive crisi economiche e a prodotti finanziari “spazzatura”. Anzi il nostro sistema bancario è assai sottocapitalizzato, e ne è riprova il fatto che con l’arrivo di Basilea2 e Basilea3 molte banche italiane, mi riferisco soprattutto al mondo del Credito Cooperativo, non avranno i requisiti patrimoniali sufficienti per essere in regola con le nuove direttive. Questo fenomeno espone le nostre Banche a maggiori possibilità di azioni di speculazione finanziaria e di attacchi da parte di Banche straniere per la scalata dei pacchetti azionari italiani.

Inoltre non sono per nulla convinto che molti di quei titoli (subprime, junk bond, ecc..) che furono la causa di fallimenti e difficoltà di molte Banche nel 2007-2009 siano spariti dai loro bilanci, più o meno ufficiali; una gran parte di quei titoli è tuttora presente all’interno dei portafogli delle Banche, comprese anche di quelle italiane perché, se ci pensate bene, nonostante un gran parlare della necessità di controlli e nuove regole finanziarie, in pratica non si è fatto nulla, e gli operatori finanziari continuano a fare ciò che facevano prima, magari cambiando solamente il nome ai “subprime”…

 

Quale futuro vede per l’Euro? Come valuta l’investitura di Mario Draghi al vertice della BCE?

Relativamente all’euro, vi inviterei a leggere ciò che dicevo nel marzo 2008 attraverso un’intervista pubblicata su alcuni siti economici: http://www.marketpress.info/notiziario_det.php?art=59155.

Non ho mai avuto considerazioni positive per la valuta europea ed ho sempre espresso chiaramente il mio pensiero. L’euro è stata una forzatura voluta in primis dalla lobby del potere bancario-finanziario poiché, attraverso la nascita della BCE, i singoli Stati hanno perso del tutto una certa autonomia in campo finanziario ma soprattutto hanno perso definitivamente la sovranità monetaria; in secondo luogo ci è stato imposto in nome di un’unità politica ed economica europea, unità che ancora non esiste e dalla quale siamo ben distanti; troppe sono le diversità tra i singoli Stati ed alla fine le conseguenze si sono viste.

Vi ricordate?, l’allora Governo Prodi, ma con l’appoggio anche delle forze di opposizione, ci fece pagare pure una tassa (prelievo forzato sui nostri conti correnti) per l’euro… Non si può certo nascondere che, dall’introduzione dell’euro, per i cittadini italiani il costo della vita sia praticamente raddoppiato mentre il potere d’acquisto, le retribuzioni, i salari e le pensioni non abbiano seguito il medesimo iter; ed ancora che, nonostante i bassi tassi d’interesse, il costo del denaro sia assai elevato (a causa dell’innalzamento degli spread dei tassi passivi da parte degli Istituti bancari); ed in aggiunta che l’euro sia una valuta “forte” a livello internazionale penalizzando quindi le nostre imprese esportatrici e le loro vendite, contribuendo quindi a deprimere il nostro sistema produttivo ed accentuando la crisi economica, ed invogliando sempre più le aziende italiane a chiudere gli stabilimenti locali per decentrare la produzione in Paesi esteri soggetti a minori vincoli burocratici, ad una tassazione più favorevole e a minori costi produttivi.

Continuo perciò a non vedere un buon futuro per l’euro e soprattutto per l’Europa. Sono inoltre convinto che alcuni Stati, tra i quali l’Italia, se la passerebbero senz’altro meglio o avrebbero maggiori chance di risanamento, rimanendo al di fuori dell’euro (attenzione, non della Comunità Europea). Ma probabilmente assisteremo, e nemmeno in tempi troppo lunghi, alla fuoriuscita dalla moneta comune di alcuni Paesi per incapacità di mantenimento dei parametri di Maastrich.

Stiamo assistendo in questi mesi ad attacchi speculativi contro i Paesi più deboli dell’area Euro, tra i quali l’Italia, ma non credo sia tutto effetto della speculazione…

Relativamente all’investitura di Draghi al vertice della BCE purtroppo devo ripetermi in modo negativo; dal mio punto di vista non era il candidato ideale per quella poltrona perché Draghi proviene da un’importante esperienza in Goldman Sachs, ovvero una delle cosiddette Banche “avvoltoio” ed una delle principali istituzioni finanziarie mondiali dedite alla speculazione finanziaria… Ricordiamoci anche che Draghi nel 1992, in qualità di Direttore Generale del Tesoro, fu uno degli artefici della svendita a prezzi stracciati di parte dei capitali delle nostre più importanti società pubbliche (Eni, Finmeccanica, Enel, ecc..) proprio alle Banche d’Affari dalle quali proviene (riunione tenuta sulla nave Britannia al largo delle coste italiane, e da qui il nomignolo affibbiatogli di “mr. Britannia).

Inoltre Draghi è da almeno un paio d’anni che continua a sostenere la necessità di maggiori controlli soprattutto per il sistema bancario-assicurativo, artefice dell’ultima crisi finanziaria, e di nuove regole finanziarie ma, sinceramente, ad oggi abbiamo assistito all’introduzione di alcune nuove direttive di vigilanza nei confronti dell’operatività delle Banche..???.

Fiscalita’ e crisi dell’Euro: cause e prospettive di sviluppoultima modifica: 2011-09-10T19:14:49+02:00da paoloteruzzi
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