italia incivile anche nelle carceri

 

Giustizia: carceri sempre più da record verso 70mila detenuti

di Antonio Piazza

 

Articolo 21, 25 febbraio 2010

 

Non uno dei tanti annunci ad effetto che spesso si leggono sulla carta stampata scritti a tutta pagina in copertina per aumentare il numero delle vendite; si tratta realmente di un primato che la nostra civile società italiana si è aggiudicata. In tutta la storia della Repubblica, dal 1946 ad oggi, non si è mai registrato un numero così elevato di detenuti nelle carceri italiane. In questo preciso istante, credo che, con ogni probabilità, tutti i ristretti, le loro famiglie, la polizia penitenziaria e tutto il personale che lavora all’interno delle strutture carcerarie stiano rivolgendo un sincero ringraziamento a chi ha permesso che il nostro Paese potesse aggiudicarsi tale primato.

Ma per capire bene l’effettiva portata del fenomeno di cui stiamo parlando, credo che sia utile analizzare qualche dato numerico relativo alle nostre carceri. Capienza regolamentare: 43.327 Capienza tollerabile: 64.111 Detenuti presenti: 66.561. Presenze straniere: 24.496 (fonte: www.abuondiritto.it).

Per cominciare vorrei soffermarmi un attimo sul concetto di “capienza tollerabile” e per farlo vi propongo un immaginario colloquio con l’addetta all’accoglienza di un ipotetico hotel. Immaginiamo di dover organizzare una vacanza; siamo sei coppie di amici e telefoniamo alla struttura alberghiera presso la quale gradiremmo soggiornare.

Risponde la receptionist: “Sono spiacente, il nostro albergo possiede dieci stanze doppie per una capienza totale di venti persone che tutt’ora sono presenti. Non posso accogliervi”. “Peccato” – replichiamo noi – “cercheremo altrove”. “No, aspettate” – ci ferma l’addetta – “io mi riferivo alla capienza regolamentare. Ma se aggiungiamo un letto per ogni stanza possiamo agevolmente ricavare altri dieci posti; infatti la capienza tollerabile per la nostra struttura è di trenta ospiti”. “Lei è gentile, ma noi siamo dodici” – rispondiamo un attimo interdetti. “Dodici?” – “Perfetto abbiamo anche un’ampia e accogliente cucina che può ospitare ancora cinque persone per un totale di ben trentacinque presenze. Cosa ne pensate?”.

Bene, questo è il principio che sta alla base del concetto di “capienza tollerabile”: utilizzare una struttura dimensionata e costruita secondo criteri di abitabilità e agibilità adatti per un certo numero di utenti, per ospitare una popolazione di gran lunga maggiore (la capienza tollerabile delle nostre carceri risulta essere circa il 146% di quella regolamentare).

La prima ovvia, giusta e legittima obiezione che può venire sollevata è che l’ulteriore spazio così ricavato non sia in grado di garantire agli “ospiti” gli stessi standard di vivibilità e sicurezza che verrebbero rispettati nel caso in cui la popolazione ristretta rispettasse il numero regolamentare. Ma pare che questo non costituisca un problema di grande rilevanza, tant’è che alla capienza tollerabile si aggiunge un ulteriore 4% circa di persone per approdare alle presenze reali. E così il numero effettivo di detenuti risulta essere circa il 150% di quello regolamentare. Un modello di efficienza abitativa.

Ma questo non è tutto; i dati appena esaminati sono di carattere generale; è sufficiente scendere nel particolare per constatare che le cose vanno ancora peggio. Un dato su tutti: il tasso di sovraffollamento che si registra nelle carceri emiliano-romagnole raggiunge ben il 193% (in Sicilia, Veneto e Friuli il 160% – fonte www.associazioneantigone.it), una situazione ampiamente oltre la soglia della sostenibilità. Ma non fermiamoci qui, spingiamoci oltre nell’analisi del particolare. Carcere della Dozza, Bologna: capienza di tolleranza, 480 persone, capienza reale, poco meno di 1.200 detenuti (fonte: www.carceriemiliaromagna.it). Questo significa che all’interno di celle adibite all’accoglienza di una persona, ne vivono mediamente ben tre (ed anche di più se consideriamo che gli ergastolani, fra i loro pochi diritti, hanno almeno quello di poter stare in cella da soli).

Ed ora veniamo al secondo aspetto, forse più sconcertante del primo e che riguarda i meccanismi di incarcerazione. Come tutti sanno, in Italia vige la presunzione di innocenza, vale a dire che ogni imputato è ritenuto innocente fino a prova contraria. L’onere della prova inoltre spetta all’accusa, cioè non è compito dell’imputato dimostrare la propria innocenza, bensì compito dell’accusa dimostrarne la colpevolezza. Tutto ciò è riassunto all’art. 27, comma 2 della Costituzione che recita: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (che prevede tre gradi di giudizio: primo grado, appello, cassazione). Ma come ben sappiamo, nell’Italia patria del diritto, ciò che è scritto nella Costituzione non sempre pare essere poi così vincolante, ma a volte è passibile di deroghe.

E così si registrano detenute 30111 persone (il 69.4% della capienza regolamentare, il 46.9% di quella tollerabile,il 45,5% di quella reale) che si trovano nella situazione di semplici imputati, reclusi in via cautelare, senza che nessun giudice li abbia dichiarati definitivamente colpevoli, alcuni di loro senza neanche avere affrontato neppure il primo grado di giudizio ma solamente l’udienza di convalida, altri neppure questa, ma semplicemente prelevati dalla polizia giudiziaria sulla base di un mandato di arresto emesso in seguito ad una accusa ancora tutta da dimostrare.

Tutto ciò comporta che ogni anno transitino all’interno delle carceri italiane decine di migliaia di persone, chi per qualche giorno, chi per settimane o mesi, chi per anni, che contribuiscono (non certo per volontà loro) ad aggravare la già complicata situazione. Ma la cosa che ritengo sconcertante è che una fetta significativa di costoro, verrà assolta in maniera definitiva, tuttavia non senza avere provato il dolore e l’umiliazione di una ingiusta carcerazione. Ed allora l’interrogativo che pongo è il seguente: è un’ingiustizia maggiore lasciare libero un colpevole o rinchiudere un innocente?

Infine c’è un terzo risvolto che non emerge direttamente dai numeri suesposti ma non è affatto da trascurare. L’elevatissimo numero di detenuti non ha un corrispondente nel numero degli educatori cosicché il rapporto detenuti/educatori risulta sempre più alto. Questo comporta che ad ogni singolo educatore spetti l’osservazione di un numero di reclusi troppo elevato con la conseguenza di poter dedicare una quantità di tempo ed attenzione via via inferiore ad ognuno di essi. Il risultato è che non sempre è possibile per il personale portare a termine le relazioni osservative che costituiscono parte integrante del percorso carcerario dei singoli individui e che sono necessarie per potere inoltrare istanze di affidamento o richieste di detenzione domiciliare. Perciò c’è chi rimane in carcere per “l’insufficienza della documentazione prodotta”.

Bene, questa è la situazione italiana; c’è da essere veramente fieri del record stabilito, che peraltro verrà presto battuto da se stesso. All’attuale ritmo di crescita infatti, si stima che la popolazione carceraria raggiungerà le 70.000 unità a fine anno e le 100.000 unità nel 2012 (fonte www.associazioneantigone.it).

Prima di salutarci, voglio solamente citarvi un buffo dato statistico che esula dall’argomento trattato ma che la dice lunga sulla strada che noi tutti come Paese, consapevolmente o meno, stiamo percorrendo: mentre si fa di tutto affinché il numero dei detenuti aumenti (ad esempio con l’introduzione di nuovi reati), si fa altrettanto di tutto perché il numero dei docenti possa diminuire. E la civiltà? Beh, quella continua a scomparire.

da www.ristretti.it

grazie

italia incivile anche nelle carceriultima modifica: 2010-02-25T22:28:12+01:00da paoloteruzzi
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