New York, il ponte delle manette

 
 

New York, il ponte delle manette

 
 
 

Il ponte di Brooklyn diventa il simbolo della nuova protesta sociale negli Stati Uniti. Una gigantesca retata, con 700 arresti, documentata da immagini e video, scuote l’America e raggiunge il mondo intero. Gli indignati di New York fanno sicuramente le cose in grande, e anche la polizia. Ecco come i giornali del lunedì raccontano e commentano i fatti.

“Una gigantesca retata contro gli Indignati sul ponte di Brooklyn” titola in apertura il CORRIERE DELLA SERA, che dedica le prime due pagine alle notizie da New York. Racconta la corrispondente Alessandra Farkas: “La protesta continua. Centinaia di manifestanti del movimento «Occupy Wall Street» (versione americana degli Indignados comparsi per la prima volta in Spagna) ieri hanno continuato ad occupare Zuccotti Park, nel distretto finanziario di Manhattan, coi loro materassini, laptop, cartelli e chitarre. Neppure l’arresto in massa di oltre 700 attivisti, sabato sera, è riuscito a smorzare l’entusiasmo di un movimento giunto ormai alla terza settimana di protesta ininterrotta, che oltre a diffondersi a macchia d’olio in tutto il Paese conta adesso sul potente appoggio del sindacato degli insegnanti e dei trasporti. Ieri l’America parlava solo di loro. Dei 700 «ribelli» arrestati dalla Polizia di New York — e poi rilasciati — per aver bloccato il ponte di Brooklyn. I disordini erano cominciati quando i manifestanti che protestavano contro il salvataggio governativo delle banche, il tasso record di disoccupazione e i pignoramenti delle case, hanno iniziato a marciare lungo le corsie destinate alle auto, abbandonando i marciapiedi laterali e bloccando così il traffico”. Che così conclude: “«Il nostro movimento s’ispira a piazza Tahrir e alla primavera araba», spiega il 27enne web designer Tyler Combelic, portavoce dei dimostranti. «Anche se loro non devono deporre dittatori e non ci sono spari nell’aria, l’uso sapiente di Twitter e degli altri social media è identico», teorizza il columnist Nicholas Kristof, stupefatto dalla straordinaria organizzazione di Zuccotti Park, suddivisa tra area ricevimento, zona per i media (immortalata da Michael Moore, Susan Sarandon, Cornell West e Roseanne Barr), clinica, libreria e ristorante dove arrivano pizze e panini («OccuPie Special») pagati con la carta di credito dai sostenitori in tutto il mondo. Dopo Boston, Albuquerque, Los Angeles e San Francisco, il prossimo 6 ottobre le proteste sbarcheranno a Washington dove alcuni dimostranti hanno già chiesto l’arresto del presidente della Federal Reserve Ben Bernanke, «per tutto il denaro dei cittadini usato per salvare le banche». Nella capitale, come nel resto del Paese, hanno risposto all’appello giovani, minoranze, sindacati e donne. Ovvero tutti i gruppi di cui Barack Obama ha ancora disperatamente bisogno se vuole essere rieletto alle presidenziali del prossimo anno”. Le pagine sono unite da una ricca e spettacolare documentazione fotografica della retata sul ponte di Brooklyn, mentre a pagina 3 Ennio Caretto intervista Gay Talese, 79 anni, scrittore newyorchese noto per i libri sulla mafia. Ecco un passaggio: “«Il movimento pacifista prevalse nella guerra del Vietnam perché il servizio militare era obbligatorio, e l’America vi aderì per proteggere la vita dei suoi figli. In maggioranza, i media l’appoggiarono senza remore. Ma oggi l’America è divisa perché una parte è al servizio di Wall Street mentre un’altra ne è vittima. E tra i clienti della finanza vi è la maggioranza dei media, per via della pubblicità, della proprietà, delle alleanze». Non si salva nessuno?
«Ho passato mezzo secolo a New York, la metà nei giornali. Un tempo non era così, ma adesso i media sono veloci nell’evidenziare le ribellioni all’estero, ma lenti a illustrare quelle in casa. Eppure, i giovani di “Occupare Wall Street” meritano attenzione. La finanza che ha causato il disastro del 2007-2008 è più forte di prima, e i colpevoli non sono stati puniti, con l’eccezione di pochi personaggi secondari». Wall Street è responsabile delle attuali tensioni sociali? «Certamente. Se la finanza, salvata a carico dei contribuenti, fosse stata penalizzata e regolamentata, avrebbe cambiato condotta. Hanno molte responsabilità anche i governi, che non l’hanno riformata e che non hanno saputo creare nuovi posti di lavoro. I danneggiati sono soprattutto i giovani, una generazione che temo perduta. Io crebbi durante la Grande Depressione, a mio parere rischiamo di fare il bis»”.

REPUBBLICA sceglie di “accorpare” in prima pagina la notizia dei tagli agli statali in Grecia a quella dello sgombero degli indignados di New York, ristabilendo però le distinzioni all’interno (2 pagine per ciascuna notizia). L’apertura del servizio sceglie di andare oltre gli arresti: «Non abbiamo paura», dicono i manifestanti, che si preparano anche stamattina a marciare su Wall Street. Repubblica fa parlare qualcuno di loro: c’è la manager che per essere in piazza ha preso le ferie, la disoccupata che ha creduto in Obama, il cameriere precario che da anni non vota, il docente universitario militante comunista, l’artista attivista di Wikileaks e perfino un ex tecnico informatico di Wall Street che ha deciso di cambiare vita. A commento, un pezzo di Nicholas D. Kristof ripreso dal New York Times in cui si paragonano i giovani newyorchesi a quelli egiziani di piazza Tahrir ma si muove loro anche una critica: non avere rivendicazioni precise da portare avanti. L’articolista perciò ne suggerisce alcune: chiedere una Tobin Tax, limitare gli investimenti più a rischio da parte delle banche, tassare gli istituti di credito che si comportano peggio.

Un articolo di cronaca trasformato in editoriale. “Che democratiche le manette di Obama” è il titolo del pezzo che IL GIORNALE dedica a pagina 13 alla protesta degli indignados americani. Chi scrive si focalizza sulla reazione della polizia e sui 700 arresti tra i manifestanti, tirando in causa il presidente Barack Obama. «Obama non c’entra direttamente, ma c’entra ugualmente, perché l’America è sua ora e da quando è sua per molti è un paese diverso più umano più libero, più democratico. Invece è esattamente come prima, chi non rispetta le regole paga». E accusa i media italiani di aver raccontato la notizia «come se la polizia abbia agito senza il consenso dichiarato del sindaco e quello tacito della Casa Bianca» e si sottolinea come proprio i mezzi di comunicazione si siano comportati in maniera opposta a come si fa in Italia quando le autorità si oppongono a una manifestazione dove «chi manifesta vale sempre di più di chi comanda». Chi scrive poi contesta la visione complessiva che gli italiani danno del presidente di Barack Obama («l’hanno dipinto come uno che detesta le guerre anche se ne combatte due da quando è arrivato alla Casa bianca, l’hanno fatto passare per un leader ecologista e costruisce centrali nucleari e ha trivellato gli Usa a caccia di petrolio e gas») con un conclusione sarcastica «adesso il suo paese arresta gli indignados d’America e vedrete: diranno che il presidente sta dalla loro parte».

LA STAMPA nel lancio in prima pagina racconta della “grande retata sul Ponte di Brooklyn”, con gli indignados che «dilagano» nonostante i 700 arresti. Nel racconto di Maurizio Molinari Zuccotti Park, l’accampamento di Occupare Wall Street, è pieno di «tamburi, computer, sacchi a pelo e bandiere americane», ma c’è una precisa organizzazione e suddivisione per settori. Tra i suonatori di tamburi, Abdullah 26 anni, di New York, dice con rabbia che «Obama è come Hosni Mubarak e se ne deve andare pure lui», mentre più avanti, nella «zona dei media», i «militanti dotati di computer sfruttano i social network per organizzare le marce che si svolgono ogni giorno alle 12 e alle 17,30». È stata proprio una di queste marce, sabato, a puntare sul ponte di Brooklyn, con la conseguenza dei 700 arresti: «La polizia ci aveva detto che potevamo andare, poi eravamo in troppi per camminare solo sulle corsie pedonali, siamo andati avanti anche su quelle stradali, dopo poche centinaia di metri ci siamo trovati davanti un muro di agenti e un altro alle spalle. Ci hanno arrestati in massa», dice Matt. LA STAMPA intervista Kathleen Cleaver, già portavoce delle Pantere nere dal 1967 al 1971, oggi docente universitaria. Della protesta degli indignados «contro l’ingordigia dei Ceo» dice «mi chiedo perché ci abbiamo messo tanto ad iniziarla». La sfida difficile che li aspetta è quella di «trasformasi da movimento di protesta in movimento nazionale», «anche per il Vietnam all’inizio eravamo quattro gatti, poi abbiamo vinto» e il segreto è «catturare l’immaginazione della gente», lavorando sul tema forte della «giustizia sociale». Una anticipazione del nuovo libro di Jeremy Rifkin racconta invece di come «la crisi cambierà solo quando cambieremo l’economia», e di come la Terza rivoluzione industriale sia già iniziata, dando inizio all’era del «capitalismo distribuito» che sostituisce il rapporto da avversari tra venditore e compratore dalla relazione collaborativa tra fornitore e utilizzatore. 

 
New York, il ponte delle manetteultima modifica: 2011-10-03T14:19:21+02:00da paoloteruzzi
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