razzismo istituzionale

Relazione svolta dal filosofo Luigi Ferraioli nell’incontro organizzato a Lampedusa da Magistratura Democratica, Medel, Movimento per la giustizia

Luigi Ferrajoli

Il RAZZISMO ISTITUZIONALE DEL GOVERNO

Fuori LEGGE

Pubblichiamo la relazione del filosofo all’incontro «La frontiera dei diritti. Il diritto alla frontiera» organizzato a Lampedusa da Magistratura democratica, dal Medel e dal Movimento per la Giustizia

-È con un senso di sgomento e di mortificazione civile che siamo oggi qui a Lampedusa per discutere della vergognosa politica italiana in materia di immigrazione: delle scandalose leggi razziste e incostituzionali varate dall’attuale governo contro gli immigrati, fino alla criminalizzazione della stessa condizione di immigrato irregolare; dei respingimenti di massa illegittimi, in violazione del diritto d’asilo, di migliaia di disperati che fuggono dalla fame, o dalle persecuzioni o dalle guerre; delle violazioni dei diritti e della dignità della persona negli attuali centri di espulsione, e più ancora nei lager libici nei quali gli immigrati respinti vengono destinati; delle centinaia di morti, infine – fino alla tragedia dei 73 eritrei lasciati annegare in mare lo scorso agosto, dopo 21 giorni alla deriva – vittime della disumanità del nostro governo, immemore della lunga tradizione di emigrazione del nostro paese

La guerra ai migranti
Ci troviamo di fronte ad un cumulo di illegalità istituzionali, che hanno provocato critiche e proteste da parte dell’Onu, dell’Unione Europea e della Chiesa cattolica e che deturpano i connotati essenziali della nostra democrazia. (…) Credo sia opportuno, in via preliminare, misurarne la contraddizione profonda con i principi più elementari della tradizione liberale. Entro questa tradizione, il diritto di emigrare è il più antico dei diritti naturali, essendo stato proclamato alle origini della civiltà giuridica moderna. Ben prima della teorizzazione hobbesiana del diritto alla vita e di quella lockiana dei diritti di libertà, lo ius migrandi fu infatti configurato dal teologo spagnolo Francisco de Vitoria, nelle sue Relectiones de Indis svolte a Salamanca nel 1539, come un diritto universale e insieme come il fondamento del nascente diritto internazionale moderno.
Di fatto la sua proclamazione era chiaramente finalizzata alla legittimazione della conquista spagnola del Nuovo mondo: anche con la guerra, ove all’esercizio di quel diritto fosse stata opposta illegittima resistenza. Tuttavia – benché asimmetrico, non essendo certo esercitabile dalle popolazioni dei «nuovi» mondi, ma solo dagli europei che lo invocarono a sostegno delle loro conquiste e colonizzazioni – lo ius migrandi rimase da allora un principio fondamentale del diritto internazionale consuetudinario.

In nome della proprietà privata
John Locke lo teorizzò come essenziale al nesso proprietà, lavoro, sopravvivenza sul quale fondò la legittimità del capitalismo: «la stessa norma della proprietà», in forza della quale ciascuno è proprietario dei frutti del proprio lavoro, egli scrisse, «può sempre valere nel mondo senza pregiudicare nessuno, poiché vi è terra sufficiente nel mondo da bastare al doppio di abitanti» (…). Kant, a sua volta, enunciò ancor più esplicitamente non solo il «diritto di emigrare», ma anche il diritto di immigrare, che formulò come «terzo articolo definitivo per la pace perpetua». Infine il diritto di emigrare fu consacrato nell’art.13 della Dichiarazione universale dei diritti nel 1948 e in quasi tutte le odierne costituzioni, inclusa quella italiana (…).
Ho ricordato queste origini dello ius migrandi perché la loro memoria dovrebbe quanto meno generare una cattiva coscienza in ordine all’illegittimità morale e politica, ancor prima che giuridica, della legislazione contro gli immigrati. Quell’asimmetria, in forza della quale quel diritto fu utilizzato dai soli occidentali a danno delle popolazioni dei nuovi mondi, si è oggi rovesciata. Dopo cinque secoli di colonizzazioni e rapine non sono più gli europei ad emigrare nei paesi poveri del mondo, ma sono al contrario le masse affamate di questi stessi paesi che premono alle nostre frontiere. E con il rovesciamento dell’asimmetria si è prodotto anche un rovesciamento del diritto. Oggi che l’esercizio del diritto di emigrare è divenuto possibile per tutti ed è per di più la sola alternativa di vita per milioni di esseri umani, non solo se ne è dimenticato l’origine storica e il fondamento giuridico nella tradizione occidentale, ma lo si reprime con la stessa feroce durezza con cui lo si è brandito alle origini della civiltà moderna a scopo di conquista e colonizzazione. Nel momento in cui si è trattato di prenderne sul serio il carattere «universale», quel diritto è infatti svanito, capovolgendosi nel suo contrario: tramutandosi in reato.
È questa l’enorme novità dell’attuale legislazione italiana rispetto alle stesse leggi anti-immigrazione del passato, come la Bossi-Fini o le varie leggi contro gli immigrati degli altri paesi europei: la criminalizzazione degli immigrati clandestini. (…)
Ma oggi la novità della criminalizzazione degli immigrati compromette radicalmente l’identità democratica del nostro paese. Giacché essa ha creato una nuova figura: quella della persona illegale, fuorilegge solo perché tale, non-persona perché priva di diritti e perciò esposta a qualunque tipo di vessazione; destinata dunque a generare un nuovo proletariato, discriminato giuridicamente e non più solo, come i vecchi immigrati, economicamente e socialmente.
Il salto di qualità consiste dunque nei connotati intrinsecamente razzisti della nuova legislazione: dapprima del decreto legge n.92/2008, convertito in legge il 24 luglio del 2008, che ha introdotto, per qualunque reato, l’aggravante della condizione di clandestino, l’aumento della pena fino a un terzo e il divieto di concedere le attenuanti generiche sulla sola base dell’assenza di precedenti penali; poi, soprattutto, della legge sulla sicurezza (…) È stato infine allungato da 2 a 6 mesi il tempo di permanenza dei clandestini nei centri di espulsione (Cie). Infine le norme apertamente razziste, di triste memoria nel nostro paese: il divieto dei matrimoni misti per l’immigrato irregolare, gli ostacoli alle rimesse di denaro alle famiglie; il divieto per quanti sono privi del permesso di soggiorno di iscrivere i figli all’anagrafe, con il conseguente pericolo che questi, non essendo riconosciuti, possano essere dati in adozione e sottratti alle loro madri, la cui sola alternativa sarà il parto clandestino e la clandestinità dei loro figli.(…)

—–

settembre 2009

razzismo istituzionaleultima modifica: 2010-02-24T01:22:35+01:00da paoloteruzzi
Reposta per primo quest’articolo