ancora sulla valdisusa e su movimento no tav

Interessante articolo, ricco tra l’altro di collegamenti che vale la pena esplorare, sull’imbarazzo dei comunicatori di professione riguardo alla narrazione del movimento No-TAV.

Giuliana

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/04/no-tav-incapaci-di-raccontarlo/139528/

Rassegnamoci: siamo incapaci di raccontare il No Tav.

Perché oggi non solo i media tradizionali ma anche siti internet di testate prestigiose non sanno proprio come maneggiarlo, un movimento come il No Tav, che esiste, vive, produce dissenso e proposte alternative e costruisce socialità da più di vent’anni. Un movimento che nasce spontaneamente con una serie di assemblee pubbliche fin dai primi anni Novanta.

Oh, sì, certo. Potremmo fare delle straordinarie cronache della giornata di ieri, per raccontare il No Tav. E avremmo fallito, perché per comprendere un singolo evento occorre conoscere le premesse, approfondire, sviscerare.

Il flusso della comunicazione televisiva non lo sa più fare – ammesso che abbia mai saputo farlo – o, piuttosto, non vuole. Perché la rappresentazione binaria della realtà, i buoni e i cattivi, i cowboy e gli indiani, è più semplice da realizzare e da far digerire al popolino. Ed è un’operazione fortemente sistemica. Che proviene da quegli stessi che parlano di “primavere” quando le ribellioni violente avvengono altrove.

Il flusso della comunicazione su internet, quello mainstream, deve fare i click. E allora fa la cronaca in diretta del corteo e degli scontri.

Il flusso della comunicazione politica si deve per forza imbastire di retorica trasversale. Si deve trincerare dietro le “ferme condanne” – che fanno anche un po’ sorridere, e ricordano, per dire, la viva e vibrante soddisfazione che Maurizio Crozza mette in bocca al presidente della Repubblica quando lo imita – e dietro “l’isolamento dei violenti”, con un’ipocrisia rara, perché, evidentemente c’è violenza e violenza, per costoro. Altrimenti non si spiega come mai, periodicamente, ci sia chi – fra quelli che condannano i No Tav nelle loro “frange violente” – si spinga a giustificare questa o quella azione di guerra qui o là nel mon do; non prenda posizione contro le violenze di stato; si dimentichi le lotte contro la militarizzazione del territorio. E via dicendo.

Violenza. Forse andrebbe ridefinito il termine, perché usato così, be’, fa parte della neolingua che riduce il pensiero a poche categorie che stracciano ogni tentativo di costruirsi un pensiero critico. E fa specie anche leggere che qualcuno si metta a individuare i presunti “mandanti morali”, parlando a sproposito. Esattamente come fa specie che arrivino leader populisti a cavalcare un movimento popolare. O che si usino ovunque parole chiave che non si vedeva l’ora di rispolverare, esattamente come accadde dopo i fatti di Genova: frange eversive, black bloc, realtà antagoniste, bombe carta, centri sociali radicali, guerriglia e via dicendo.

Così diventerà una fatica immane, dopo questo bombardamento mediatico, ricominciare a raccontare il No Tav.

Il punto è che, ogni volta che si parla del No Tav, bisognerebbe raccontare come e perché si è arrivati al 3 luglio 2011. E non c’è il tempo di farlo, pare. Né la volontà. Comunicazione e politica rimangono slegate dalla realtà e dimenticano che No Tav è molto più della giornata del 3 luglio 2011.

Fabrizio Tassi ha riassunto in maniera splendida il vademecum dei fautori del sì ad ogni costo e le banali – ahimé, banalissime – ragioni dei fautori del no.

Su Twitter, ieri, il flusso di notizie con la tag #notav – nota per gli appassionati e gli addetti ai lavori: accadeva anche con la tag #saldi, ricercatissima per altre motivazioni, molto meno sociali, grazie a un “dirottamento di tag” ideato dai Wu Ming – arrivava puntuale, ovviamente anche con commenti e dissen si rispetto ai fatti che accadevano. Ma era un flusso per addetti ai lavori. Per persone che, come base, hanno le 150 ragioni del No. Sistematicamente ignorate da chi deve semplicemente smontare il movimento agli occhi di tutti gli altri, quelli che non lo vivono e non lo conoscono.

E allora, visto che sul web possiamo anche prenderci del tempo, ecco che vale la pena di riproporre ancora una volta un video girato il 1° luglio 2011. In cui un’attivista No Tav spiega alle forze dell’ordine – e a tutti noi – le ragioni del No Tav.

 
 
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Faccio parte del gruppo pace di Condove e sono tendenzialmente nonviolenta, direi, se mi si permette, per natura più che per ideologia. Confesso che anche a me danno fastidio gli insulti gratuiti, sia pure ai poliziotti; per non parlare del fatto che certo non tiro pietre – i son nen bona, come direbbe Perino. E vorrei che nessuno le tirasse.

Domenica però c’ero, alla manifestazione. E devo dire che neanche per un secondo ho avuto dei dubbi su chi fosse l’aggressore e chi fosse l’aggredito. Davanti a me c’era una recinzione con filo spinato degna di un campo di concentramento; uno schieramento di poliziotti mascherati e armati, chiaramente disposti per incutere paura; sopra di me un elicottero girava incessantemente, creando un clima aggressivo e ossessivo.

Sono nonviolenta, ma so che “anche l’odio per l’ingiustizia stravolge il viso”.

Sono nonviolenta, ma, permettetemi una citazione da vecchia professoressa, sono convinta, con il Manzoni che “i provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che , in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi.”

Si è cercato, sia pure in modo simbolico, di infrangere le fortificazioni che hanno costruito su luoghi che sono la testimonianza del lavoro secolare dell’uomo. Chi non ha visto i terrazzamenti delle vigne sotto la Ramat non può sapere di che cosa sia capace il lavoro paziente e costante. L’hanno costruito sopra uno dei siti archeologici più antichi del Piemonte, là dove l’uomo migliaia di anni fa onorava i suoi morti.

Non era legittimo cercare di forzare quel blocco, non era autorizzato da nessuno. Vorrei ricordare che neanche la marcia del sale era autorizzata. E’ costata ai seguaci di Gandhi morti, feriti, prigione.

Quel sedicente cantiere alla Maddalena è il simbolo dell’arroganza del potere; è la roccaforte di chi vuole il profitto a qualunque costo; di chi pensa che lo sviluppo e la velocità siano dei valori; di chi non ha il senso del limite. Quel cantiere è uno sfregio alla valle di Susa, alla natura, alla democrazia. Nel mondo migliore che vorrei non solo per me, ma per i miei figli e i miei nipoti, quel cantiere non c’è.

Eleonora Cane

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e sui disordini:
 
 
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da carta_org

 
ancora sulla valdisusa e su movimento no tavultima modifica: 2011-07-06T09:36:00+02:00da paoloteruzzi
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