fare luce sulle stragi

Eugenio Papetti 25 novembre alle ore 23.53 Rispondi Segnala
grazie
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Paolo Borrello 26 novembre alle ore 9.18 Ti invio l’ultimo post che ho scritto nel mio blog.
Ciao a presto.
Paolo Borrello

Stragi impunite: la parola passa agli storici?
L’Italia è il paese delle stragi, delle stragi impunite. Ma pur se, per vari motivi, la giustizia ha spesso fallito non riuscendo a condannare i colpevoli, i processi hanno contribuito a far sì che di quelle stragi ormai si sappia molto. E proprio per questo la parola ora passa agli storici. Questa tesi è sostenuta da Miguel Gotor in un articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”:

“La vita repubblicana è stata segnata da due cicli stragisti che hanno unito il nord e il sud della penisola in modi e tempi diversi, ma che sono scoppiati quando era in corso un cambiamento nella cittadella del potere italiano. Nel nostro paese, il compromesso si fonda sempre su un atto violento che, nel definire nuovi equilibri, li solidifica, li condiziona e li limita, seguendo un processo di scomposizione e ricomposizione, di rigenerazione e di restaurazione, che procede con chirurgica efficacia.

Il primo ciclo stragista, tra il 1969 e il 1974, ha colpito nel triangolo Milano-Brescia-Bologna all’indomani del biennio studentesco e operaio ’68-69 per soffocare nel sangue e nella paura quella stagione di impegno civile così da condizionare il corso della democrazia italiana e ‘destabilizzare per stabilizzare’ in senso moderato il paese. La matrice è stata neofascista e una parte degli apparati dello stato ha operato con un preciso indirizzo politico, quello di attribuire le responsabilità alla sinistra e al mondo anarchico; in seguito ha depistato per evitare l’individuazione dei veri responsabili. I mandanti sono rimasti senza volto, anche se vanno ricercati dentro la logica della guerra fredda e i settori più radicali dell’oltranzismo atlantico che hanno potuto contare, come base di azione e di protezione, sulla disponibilità della Spagna franchista e della Grecia dei colonnelli.

Il meccanismo è sempre lo stesso da piazza Fontana in poi: quando va bene si condanna una ruota dell’ingranaggio, ma non si riesce mai a penalizzare l’intera catena di comando. Gli esecutori materiali si raggiungono solo quando sono rei confessi come il neofascista Vincenzo Vinciguerra, arrestati in fragranza di reato come Gianfranco Bertoli, oppure rimangono feriti nel tentativo di piazzare una bomba come il militante di Ordine Nuovo Nico Azzi, che, insieme all’ordigno, si apprestava a lasciare in bella vista delle copie di Lotta continua.

Il secondo ciclo di bombe è deflagrato tra il maggio 1992 e il luglio 1993 all’indomani del vuoto di potere aperto da Tangentopoli. In questo caso la matrice è stata mafiosa, con depistaggi in corso di accertamento giudiziario volti a occultare i rapporti tra pezzi della politica e Cosa Nostra e i termini di una trattativa segreta tra i due ambiti. I mandanti e le finalità di quest’azione stragista restano oscuri ed è facile prevedere che tali rimarranno, anche se l’ambientazione e le finalità sembrano avere un respiro tutto italiano. Alle spalle di quell’esplosione vi era una lunga scia di cadaveri eccellenti: dall’avvocato Ambrosoli, al prefetto Dalla Chiesa, ai giudici Terranova, Costa, Ciaccio-Montalto, Caccia, Chinnici, Giacomelli, Saetta, Livatino, Scopelliti, Falcone e Borsellino.

Perché questa impunità congenita? In primo luogo, l’impunità conferma che, dove ci sono di mezzo altri poteri istituzionali, l’autorità giudiziaria ha difficoltà a raggiungere un risultato complessivo in tempi tollerabili ed è costretta a indagare senza condannare per prove ‘impunite’ perché ci sono, ma restano contraddittorie e non sufficienti…

Qualche giorno fa il magistrato Guido Salvini ha invitato ad ascoltare sullo stragismo l’agente dei servizi segreti Gianadelio Maletti, responsabile dell’ufficio D del Sid dal 1971 al 1975. In realtà, gli italiani di buona volontà lo possono già fare leggendo il suo libro intervista Piazza Fontana, noi sapevamo, ove si fanno i nomi di uomini politici e presidenti del Consiglio che sapevano e hanno sottovalutato, sapevano e hanno lasciato fare, sapevano e hanno voltato la testa dall’altra parte, sapevano e pensavano di poter piegare quella strategia a loro favore..

C’è qualcosa di profondo e di antico che riguarda i rapporti tra le classi dirigenti e il paese: con le parole del suo tempo lo spiegò bene Gramsci quando notò che il ‘sovversivismo’ popolare è correlativo al ‘sovversivismo’ dall’alto, cioè al non essere mai esistito un ‘dominio della legge’, ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo». Non da oggi il potere italiano (non la politica e basta) è tanto più forte quanto più riesce a interpretare questa doppia spinta in senso ricattatorio e stabilizzante.

‘Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi’ scriveva Pasolini nel 1974. Noi sappiamo 36 anni dopo e ormai, anche grazie all’azione della magistratura e delle commissioni d’inchiesta, abbiamo le prove. La giustizia ha fatto il possibile, ora la parola passa agli storici e al dovere della memoria civile di conservare se stessa grazie all’associazionismo diffuso, la parte migliore di questo paese…”.

L’analisi di Gotor è molto lucida e io di fatto la condivido. Certo sarei molto più felice se, soprattutto, i mandanti fossero stati quanto meno individuati e, ovviamente, condannati. E senza dubbio il dolore dei familiari delle vittime sarebbe un poco attenuato. Anche in questo caso ormai, purtroppo, dobbiamo prevalentemente pensare al futuro: leggere quanto gli storici scriveranno e, in primo luogo, tentare di impedire che le stragi si ripetano. E io non sono affatto sicuro che quanto avvenuto non si verifichi di nuovo, proprio tenendo presente quelle parole di Gramsci circa il sovversivismo di quelli che oggi potremmo chiamare “poteri forti” che rimangono tali, nonostante la loro apparente debolezza, o comunque più forti di quelli a disposizione di coloro che Gramsci definirebbe “ceti popolari”.

fare luce sulle stragiultima modifica: 2010-11-26T09:12:00+01:00da paoloteruzzi
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