Gaza: Il coraggio di Muhamed Elzaeim e Khalil Shaheen

Gaza: Il coraggio di Muhamed Elzaeim e Khalil Shaheen

 
 
 

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Coraggio. Per alcuni è un dono, per altri è un impegno. Per alcuni è forza, per altri incoscienza. Per alcuni è una scelta, per altri è una condizione.
Incontriamo il vero coraggio, autentico e costante negli occhi di Muhamed Elzaeim e Khalil Shaheen. Due cuori palestinesi, due anime ferite e gonfie del dolore del loro popolo.
Muhamed ha lavorato per due anni come traduttore e attivista dell’International Solidarity Movement, mentre Khalil è avvocato e responsabile del dipartimento per i diritti economici e  sociali del Palestinian Center for Human Rights. Non parlano mai del coraggio che li accompagna nella loro battaglia per i diritti e la giustizia della loro terra: la striscia di Gaza. Forse non ce n’è bisogno. Questa loro forza brilla in fondo ai loro occhi.
Coraggio, a Gaza, significa trovar la forza di continuare a vivere e a proteggere la speranza, nonostante le croci nel cuore, nonostante le sconfitte.

Che tipo di attività svolgete a Gaza e come si concretizza il vostro impegno per i diritti umani?
K: Il PCHR si occupa soprattutto di proteggere i diritti umani e di documentare le violazioni dei diritti della popolazione. Il nostro ruolo ci permette di denunciare l’insostenibile condizione del nostro popolo e di fare pressioni per ottenere giustizia. Per questo diamo anche un aiuto legale alle famiglie vittime di soprusi e tentiamo di rafforzare la cultura democratica nei territori occupati; di rendere ognuno consapevole dei propri diritti.

M: Quando ho iniziato a lavorare per l’ISM  ho conosciuto Vittorio e ho cominciato a collaborare con lui, affiancandolo nelle sue attività. In particolare visitavamo i feriti dagli attacchi israeliani presso gli ospedali e le famiglie delle vittime durante i funerali dei loro cari per testimoniare loro la nostra vicinanza per raccogliere informazioni da trasmettere al PCHR. È importante non permettere che l’indifferenza e il silenzio uccida due volte gli innocenti colpiti dagli attacchi israeliani.

La grandezza di Vittorio è stata quella di rompere questo silenzio dando nomi e volti a una tragedia collettiva. Anche voi avrete negli occhi e nel cuore molte di queste storie…
M: Sì, io ero spesso con Vittorio e avrei innumerevoli storie da poter raccontare. Vi posso parlare di una famiglia di cui anche Vik, nei suoi articoli, aveva scritto, e la cui storia ha avuto nuovi, drammatici sviluppi.
Nel luglio 2010 la famiglia Abu Said, che da 40 anni vive a 350 metri dal confine israeliano e a 50 dalla buffer zone, è stata attaccata.
Vittorio aveva intervistato il capofamiglia, che gli aveva raccontato di come la moglie Nema fosse stata uccisa mentre tentava di mettere in salvo il figlio più piccolo.
A giugno la stessa famiglia ha subito un nuovo attacco. La casa è stata distrutta e i bambini sono rimasti intrappolati sotto le macerie. L’ambulanza, a causa dei blocchi ai check point, è arrivata solo dopo un’ora e mezza. Fortunatamente i bambini si sono salvati, riportando però ferite al collo e all’addome. A Gaza storie come questa sono quotidiane…

Perché i militari israeliani hanno colpito quella casa?
K: I militari, all’indomani dell’attacco, hanno detto di essere intervenuti perché sospettavano che in quella casa si nascondessero dei terroristi e di aver commesso un errore. L’esperienza, tuttavia, mi fa pensare che sia inverosimile che uno degli eserciti più potenti al mondo possa incorrere in una svista simile…

Qual è il destino di questa famiglia? Avranno la possibilità di avere giustizia?
K: Ora la famiglia Abu Said vive in una tenda davanti a quello che resta della loro casa. Ogni mattina, la prima cosa che vedono è la distruzione dell’unica cosa che avevano. Il Centro li assiste per portare avanti una causa, ma ci potrebbero volere anche più di tre anni prima di ottenere un risarcimento. Ad ogni modo, se riceveranno una somma, questa coprirà al massimo il valore economico della casa. Nulla ripagherà la dignità violata di questa famiglia e non esistono forme di risarcimento per tutte le conseguenze che la perdita della casa comporta.

Durante Piombo Fuso si è parlato molto dell’emergenza umanitaria a Gaza. A due anni dall’operazione militare, qual è la situazione?
K: Quella che sta vivendo ora Gaza è la situazione peggiore da quando c’è stata la Nakhba.
Ecco alcuni dati: Gaza ha bisogno 70.000 unità abitative e di 240 scuole. Ma la lista è lunga: il 90% dell’acqua non è potabile; stando ai criteri dell’OMS, circa 80 milioni di metri cubi d’acqua sono inquinati. Non dimentichiamo inoltre il blocco del commercio estero, che soffoca l’economia, ormai quasi ridotta alla sussistenza. Il 65% dei bambini soffre di malnutrizione e di malattie legate a un’alimentazione inadeguata.

Davanti a tutto questo, come riuscite ad andare avanti?
K: Ho visto migliaia di vittime, di case distrutte e talvolta ti trovi obbligato a dover fare i conti con la sconfitta. Nonostante questo, però, stiamo difendendo la Speranza, è questo che ci fa continuare. In certe situazioni bisogna agire subito… non c’è il tempo per lo sconforto.

M: Se davanti alla prima vittima, alla prima casa distrutta, alla prima famiglia lacerata dal dolore decidi di fermarti, come puoi pensare di aiutare tutti gli altri?

E voi, Muhamed e Khalil, per cosa urlereste ¡NO MÁS!?
M: Basta al massacro del popolo palestinese.

K: I militari israeliani parlano di “errori”, ma colpire civili innocenti è il loro target, il loro preciso obiettivo. Basta a tutto questo.

Sono persone come Muhamed e Khalil che portano avanti le utopie di Vittorio. A noi il compito e l’impegno di far sì che questo immenso coraggio non sia mai lasciato solo.

 

Scritto da Ilaria Brusadelli e Marco Besana per Guerrillaradio


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Gaza: Il coraggio di Muhamed Elzaeim e Khalil Shaheenultima modifica: 2012-01-04T11:13:13+01:00da paoloteruzzi
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