Dove sono gli indignados africani?

 

 
 

15 ottobre: il mondo si prepara a una rivoluzione globale al grido di “occupy”, occupiamo. Le piazze, le strade, le sedi degli istituti finanziari saranno invase da migliaia di giovani con tende e sacchi a pelo. Ma il movimento degli indignados si può davvero definire “globale”? Volontari per lo Sviluppo, l’organo di informazione della Focsiv,  indaga sulla partecipazione del Sud del mondo, e in particolare dell’Africa, ad un movimento che finora sembra essere prerogativa dei giovani del Nord. Con un commento di Claire Ulrich di Global Voices.

di Donata Columbro, Volontari per lo Sviluppo

 

Il movimento globale unito dalla voglia di cambiare il mondo al grido di #globalchange! è molto organizzato in rete. C’è un video che circola su YouTube e sui social network per invitare a unirsi alla protesta, ci sono pagineFacebook dedicate ad ogni comitato locale e nazionale che invocano la “Democracia Real Ya” (democrazia reale ora) e c’è una mappa realizzata con la tecnologia di Ushahidi per monitorare gli eventi di protesta che invaderanno – pacificamente – le strade di molte città nella giornata di sabato 15 ottobre. Ogni gruppo può inserire l’evento di occupazione in programma nel suo paese o nella sua città e quasi tutti riportano a una pagina web di riferimento con i dettagli pratici della mobilitazione: orario degli autobus, striscioni, indirizzi email e numeri di cellulare degli organizzatori.

 Ma mentre la mappa si riempie di punti rossi, a indicare la diffusione capillare di iniziative di occupazione, la sagoma del continente africano resta vuota, o quasi.

 Dove sono finiti i movimenti che hanno animato le strade di Dakar, Ouagadougou, Nouakchott, Abdijan e molte altre dopo la primavera araba dello scorso febbraio?

 “In Africa Subsahariana al momento sono molto impegnati con problemi interni e con le imminenti elezioni per prendere parte a questo movimento globale”. A parlare è Claire Ulrich, giornalista, editor di Global Voices France.

 “Poi ci sono altre due questioni: la sicurezza personale e la scarsa diffusione di internet”.

 La sicurezza personale è una questione non da poco in alcuni paesi, dove manifestare è un rischio che si prende come ultima soluzione: “in Cameroun, ad esempio, l’occupazione di piazze e strade è considerato provocatorio dalla polizia, può scatenare la violenza”.

 E poi, nonostante l’entusiasmo dell’Occidente per la diffusione delle nuove tecnologie che hanno aiutato il diffondersi della primavera araba, il digital divide in Africa Subsahariana esclude ancora milioni di persone dal prendere parte alla rivoluzione del web 2.0. “La gente si collega i collega da cyber cafè, pochissimi hanno internet a casa o via telefonino, il movimento ci metterà un po’ di tempo a crescere”, dice ancora Ulrich. “Per il 15 ottobre c’è interesse ma probabilmente i pallini rossi che indicano i pochi eventi africani sono stati messi da persone che attualmente vivono in Europa“. A livello locale i gruppi di attivisti che hanno raccolto attorno a sé migliaia di giovani durante i mesi scorsi sono ancora attivi, ma “la loro attenzione non è concentrata sui movimenti globali”.

 

Africa Occidentale

In Senegal i ragazzi di Y a en marre, con una seguitissima pagina Facebook sempre aggiornata (più di 10mila i fan), si sono incontrati martedì 11 ottobre per redigere un documento contro il razionamento sistematico dell’elettricità nella capitale e per pianificare la giornata di sabato 15 ottobre, ma per ora non è stato fornito alcun dettaglio e non è sicuro che i senegalesi siano stati chiamati a scendere in piazza a Dakar. “I senegalesi sono concentrati sulle elezioni e sullo scandalo Françafrique, non vogliono più Wade che sta lì da 20 anni e cerca di nominare suo figlio come successore. In realtà il legame con la rete mondiale potrebbe nascere proprio in Senegal, perché la gioventù è più collegata e attenta a ciò che si svolge sul web nel resto del mondo.”

In Cameroun aspettano i risultati delle elezioni di domenica scorsa, non c’è interesse particolare per sabato 15 ottobre.  In Costa d’Avorio si approfitta di un periodo di pace dopo gli scontri tra i sostenitori di Gbagbo e Ouattara, durante i quali sono morte più di tremila persone.

In Mauritania le strade di Nuakshott vedono manifestazioni susseguirsi dal marzo scorso e alla fine di settembre la tensione ha causato episodi di violenza tra polizia e manifestanti. Si protesta per le condizioni di vita inadeguate ma soprattutto per il censimento degli elettori, dal quale, secondo disposizioni del governo, saranno esclusi i mauritani con “la pelle nera”.

L’iniziativa, che sarebbe volta a combattere l’immigrazione clandestina nel paese, ha provocato diverse manifestazioni anche a Parigi: “i mauritani della diaspora sono molto attivi su questo”, afferma Ulrich. “Nei paesi dell’Africa occidentale, soprattutto in Mauritania,  chi partecipa alla discussione nella blogosfera non ha la stessa prospettiva della gente del luogo.” 

 

Africa Orientale

I paesi dell’Africa Orientale come Kenya, Uganda e Tanziania sono invece pionieri per quanto riguarda la diffusione di internet e delle connessioni su mobile. In Kenya 22 milioni persone nel Paese hanno accesso a un telefono cellulare, a fronte degli stimati 820.000 possessori di PC (Vedi: Un Facebook per i rifugiati).

Il 15 ottobre a Nairobi ad esempio è previsto l’inizio di un bar camp (una rete internazionale di non conferenze aperte i cui contenuti sono proposti dai partecipanti stessi) dalle 9 alle 18 ma senza alcuna connessione con il #globalchange proposto dalla rete di occupazione globale.

Il “pallino rosso” che si vede invece sulla mappa del 15 ottobre in corrispondenza di Dar El Salaam non ha alcun riferimento web “concreto”, dal momento che punta alla pagina più generale di Democracia Real Ya spagnola.

 

In Madagascar aspettano le elezioni da più di due anni e c’è una grande tensione: “nelle comunità di blogger malgasce ci sono persone più coscienti di questo movimento globale”, sostiene la Ulrich, “ma vivono tra l’Africa e l’estero dove ci sono grosse comunità di espatriati”.

Una primavera in arrivo…nel 2012

“In alcuni casi è più facile mobilitare gli africani su cose meno politiche come l’ambiente, sulle giornate internazionali attorno all’aids e alla salute, perché comportano meno rischi. Ma le reti ci sono, i gruppi e le comunità di attivisti sono vivaci e stanno lavorando”.

 “Ad esempio i bar camp sono da tenere sotto osservazione”, assicura Claire, che è anche un’esperta di reti e di blogosfera come espressione della società civile. “Tutta l’Africa vota il prossimo anno, moltissimi paesi o non hanno libertà di espressione o hanno elezioni travagliate come in RdCongo il mese prossimo”. Si sente qualcosa nell’aria: “il loro problema è di organizzarsi, di avere meno paura, perchè i rischi ci sono.”

 Se si osa un parallelo con le rivolte in Medio Oriente e in Nord Africa, in effetti bisogna considerare che la preparazione delle manifestazioni del 2011 è iniziata nel 2009, durante i meeting di blogger arabi e i bar camp, grazie ai quali si è creata una relazione transnazionale tra le comunità di giovani cyberattivisti e la realtà “offline” dei movimenti sindacali e studenteschi (cfr la video-intervista ad Augusto Valeriani Panarabismo e web 2.0).

 “Forse è solo questione di tempo”, conclude la sua riflessione Claire Ulrich. “Il movimento #Occupy è per la giustizia sociale ma anche contro le banche di credito e la politica finanziaria. L’Africa è toccata sul vivo da questi problemi, ha sofferto e soffre tante di queste cose, il FMI ha imposto loro politiche drastiche e soffrono. La loro sopravvivenza è legata all’aiuto finanziario e internazionale, temono che non ci siano pià soldi: c’è timore di mettersi ancora di più nei guai con le istituzioni di aiuto internazionale. Ma hanno tutte le ragioni per protestare».

Sulle proteste leggi La puntina di Riccardo Bonacina

Dove sono gli indignados africani?ultima modifica: 2011-10-16T00:14:22+02:00da paoloteruzzi
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